È affidata al più importante regista lirico-teatrale, Pier Luigi Pizzi (Milano, 1930) la messinscena per l’opera che aprirà il 9 agosto 2021 la 42a edizione del Rossini Opera Festival, Moïse et Pharaon ou Le Passage de la mer Rouge .
Grande è l’attesa per la presenza di Pizzi che ha riassunto la sua età con queste parole: ‘90 anni di impazienza, curiosità e ironia’.
Generalmente considerata oratoriale e con poca azione, il Moïse è la riscrittura in forma di ‘grand opéra’ del ‘Mosè in Egitto’ che il Musicista aveva composto su libretto di Andrea Leone Tottola per il Teatro ‘San Carlo di Napoli’ (1818).
Rossini -che era solito ricorrere all’auto-imprestito e scherzava dicendo che ‘messo alle strette e sotto stress, guadagnava tempo riscaldando gli avanzi’ -riutilizzò per l’occasione soltanto sette ‘numeri’ del Mosè dopo averli completamente ripensati: l’opera acquistò una dimensione completamente nuova e non solo in termini di durata.
Approdò all’Opéra di Parigi il 27 marzo 1827 nella versione definitiva in quattro atti (uno in più rispetto al lavoro precedente).
‘In realtà -scrisse il musicologo Fedele D’Amico nel saggio ‘Parigi val bene un Mosé- la differenza fra le due versioni sta nella drammaturgia. Il ‘Mosè in Egittò’ è un’opera rettilinea che si muove in un gioco di contrasti incalzante, quasi pre-verdiano. Il ‘Moisè’, invece, è un’opera francese, cioè scritta per l’Opéra e pertanto condizionata da un’etichetta che imponeva scenografie clamorose, vistose esibizioni di massa corali e coreografiche, dimensioni rispettabili, psicologie dilungate, grandeur’. (repliche 12-16-19 agosto). L’opera sarà diretta da Giacomo Sagripanti sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso. Sul palco Roberto Tagliavini (Moïse) e Erwin Schrott (Pharaon) nel ruolo dei protagonisti.
Sarà una vera occasione per molti assistere a ‘Elisabetta regina d’Inghilterra’, presente al ROF soltanto nel 2004 con Sonia Galassi nel ruolo della protagonista (debutterà l’11 agosto alla Vitifrigo Arena e sarà replicata il 14, 17 e 21 agosto).
Stavolta l’Orchestra della RAI sarà diretta da Evelino Pidò, mentre la regia è firmata da Davide LIvermore. Nei ruoli principali avremo il piacere di ascoltare Karine Deshayes (Elisabetta), Segey Romanovsky ( Leicester) e Salomé Jicia (Matilde).
Il libretto firmato da Giovanni Schmidt, è tratto dal dramma Il paggio di Leicester (1813) di Carlo Federici che riprese a sua volta, un romanzo gotico inglese,The Recess, di Sophia Lee (1785). Fu la prima delle 9 opere che Rossini scrisse per il ‘San Carlo’ di Napoli, considerato ‘il più prestigioso teatro italiano’ dell’epoca e l’inizio della collaborazione artistica tra il compositore e Isabel Colbran, primadonna del Teatro e sua futura prima moglie. il debutto avvenne il 4 ottobre 1815.
La terza opera, infine, debutterà il 10 agosto al Teatro Rossini (repliche il 13,15 e 18 agosto). Si tratta de ‘Il Signor Bruschino’ ossia il figlio per azzardo’, in un nuovo allestimento curato dal team registico franco-canadese Barbe & Doucet che rispettivamente firma la regia (Renaud Doucet) e le scene ed i costumi (André Barbe), mentre il progetto luci è affidato a Guy Simard.
Realizzato in coproduzione con la Royal Opera House di Muscat, il suo libretto porta la firma di Giuseppe Maria Foppa che aveva già scritto per il Musicista ‘L’inganno felice’ e ‘La scala di seta’ . Andò in scena il 27 gennaio 1813 facendo fiasco e venne subito sostituita dal ‘Ser Marcantonio’ di Stefano Pavesi. Fu ripresa il 28 dicembre 1857 al Théatre des Bouffes-Parisiens di Parigi come Monsieur Brusquino, diretta eccezionalmente da Jacques Offenbach (‘il padre dell’operetta’) a cui seguirono sporadici allestimenti nel XX secolo. La sinfonia dell’opera, invece, viene eseguita di frequente ed è nota per l’effetto richiesto dal Compositore ai secondi violini di battere con l’archetto ritmicamente sul leggio.
E’ un festival decisamente molto ricco quello di quest’anno che prevede altresì 8 concerti, un Gala dedicato al tenore Juan Diego Flórez per celebrare i suoi 25 anni del debutto al festival pesarese ed il consueto appuntamento con Il Viaggio a Reims interpretato dai giovani talenti dell’Accademia Rossiniana ‘Alberto Zedda’ (in totale 25 eventi).
Vi aspettiamo!
di Paola Cecchini
Rossini Opera Festival 2021 (9-22 agosto)
Servizio Informazioni (da lunedì a venerdì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00)
Tel: +39 0721 3800294;
Fax: +39 0721 3800220;
E-mail: [email protected];
Info: www.rossinioperafestival.it
(08/07/21) L’Arte è vita: un tango per tutte le stagioni
Mi manca il palcoscenico come l’aria!…
Mi manca lo sguardo del pubblico…
Mi manca il respiro del pubblico
Mi manca fare l’amore con la musica sul palco
Mi mancano i concerti che sono la mia vita
Mi manca l’aria…
Mi manca il mio lavoro
Mi manca sentirmi un lavoratore
Mi manca quello che sono perché quello che sono, lo devo alla musica, all’arte!
Senza di essa, senza essere me stesso sul palco emozionandomi per emozionare il pubblico, non sono niente…
Mi manca l’unico motivo per il quale vivere: in funzione di essa avrebbe senso anche la vita stessa.
La mia vita al servizio della Musica!
Mi colpì molto il grido di dolore che nell’aprile 2020 il violinista salentino Alessandro Quarta lanciò attraverso la pagina del suo social, dopo aver promosso la petizione ‘L’ARTE E’ VITA’, divulgata da Danilo Rossi (prima Viola Solista dell’Orchestra del Teatro alla Scala), unitamente al violoncellista Mario Brunello e all’attore Alessio Boni.
La petizione (27.000 firme in pochi giorni) sottolineava diverse situazioni:
– che lo streaming (sostenuto e sbandierato da più parti) non può mai sostituire lo spettacolo dal vivo, dato che- come dice la parola stessa- deriva da ‘stream’ (corso d’acqua, ruscello) mentre l’arte ‘è un fiume in piena’;
– che l’artista ha bisogno della presenza del pubblico ed il pubblico ha bisogno dell’energia dell’artista: ‘Un violino Stradivari porta con sé la storia del suo suono. Nato in un bosco, non potrà mai essere riprodotto fedelmente da nessuna tecnologia. E allo stesso tempo lo spettatore digitalizzato non è paragonabile a quello dal vivo che, appunto, vive l’opera d’arte insieme a chi, in quel momento, la sta creando’;
-che i lavoratori dello spettacolo dal vivo, i cosiddetti ‘intermittenti’, stavano vivendo una situazione economica seriamente compromessa a causa dell’isolamento provocato dalla pandemia e necessitavano di urgenti provvedimenti governativi.
Dal Lucerna Festival il giorno di Ferragosto 2020 Danilo Rossi – da buon romagnolo e senza tanti inutili giri di parole – replicò in modo forte e chiaro l’atto di accusa verso coloro (‘sindacati, direttori artistici, professori d’orchestra a tempo indeterminato e comunque, a tutti coloro che hanno lo stipendio garantito’) che nel frattempo nulla o quasi avevano fatto a favore dei lavoratori suddetti (circa 600.000 unità) al tempo senza alcuna retribuzione: nonostante avessero sempre versato i contributi per il Fondo di Integrazione Salariale (FIS), si trovavano esclusi dalla maggior parte delle misure di sostegno previste dal decreto ‘Cura Italia’.
Di certo ‘la primissima Viola della Scala’- come l’ha definito il famoso direttore d’orchestra Zubin Metha- non si è mai fermato nel sostegno alle proprie idee, tanto che il mensile ‘Classic Voice’ l’ha inserito -accanto al presidente del ‘Festival di Salisburgo’ Helga Rabl-Stadler, al sovrintendente del Teatro ‘La Fenice’ Fortunato Ortombina, al sovrintendente del ‘Macerata Opera Festival’ Luciano Messi, alla coppia che guida il Maggio Musicale Fiorentino Alexander Pereira-Zubin Mehta, nonché ai direttori Riccardo Muti e Antonio Pappano -tra i dieci personaggi più rilevanti del mondo musicale 2020, definendolo ‘voce isolata ma potente…un ribelle positivo, che ha rovesciato il clichè dell’orchestrale passivo, richiamando la Scala ai suoi doveri di teatro-guida’.
In effetti ‘la musica non si è mai fermata in questo periodo buio: non abbiamo mai sospeso la nostra creatività, non abbiamo mai smesso di riflettere sul tempo presente, come se – sotto le macerie di questa guerra ancora da combattere e da soffrire – i costruttori di bellezza siano stati e siano ancora impegnati a creare il mondo che verrà’-ha commentato Rossi alla stampa.
Volendo rappresentare un inno alla riapertura degli spazi teatrali e musicali, l’espressione ‘L’ARTE È VITA’ è diventata un motto.
Sotto questa egida si è svolto nel giugno 2020 ad Arte Sella di Borgo Valsugana (Tn) ‘Esercizi e Variazioni’, un raffinatissimo recital musicale in cui le ‘Variazioni Goldberg’ di J.S.Bach sono state associate agli ‘Esercizi Letterari’ di R. Queneau.
Sul palco i 4 ‘Moschettieri’ (Rossi, Quarta, Brunello, Boni) che replicarono
l’evento il 1°luglio successivo a Forlì inaugurando il cartellone estivo della rassegna musicale patrocinata dal Comune e dalla neonata Associazione ‘ForlìMusica’ (costituitasi tramite la fusione degli ‘Amici dell’Arte’ con l’Associazione ‘Maderna’).
In tale occasione fu aperta al pubblico l’Arena ‘San Domenico’ (nome finora conosciuto ai più per gli splendidi musei che visitiamo ogni anno per ammirare prestigiose mostre di pittura e fotografia).
Nei nove spettacoli che compongono il cartellone ‘L’ARTE E’ VITA’ 2021 le parole si intrecciano con la musica classica, contemporanea e jazz ed abbracciano effetti visivi e computer sound: una vera contaminazione di suoni, immagini ed effetti scenici.
Ora, se c’è qualcuno che ha fatto delle contaminazioni musicali il suo credo, essendo capace di mixare i più diversi stili fino a confluirli nel rock, questi è proprio Alessandro Quarta, definito ‘il più classico del violinisti rock, il più rock dei violinisti classici’ o come qualcuno ha azzardato ‘il violinista che con le sue incendiarie escursioni nell’immaginario musicale all around sta cambiando la fisionomia dello stile violinistico contemporaneo’.
Il concerto di cui è stato protagonista il 5 luglio (assieme a lui sul palco l’Orchestra d’archi Maderna) ha per titolo ‘Un tango per tutte le stagioni’ : racchiude Le quattro Stagioni di Antonio Vivaldi e dieci brani di Astor Piazzolla di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita, avvenuta a Mar del Plata l’11 marzo 1921.
Inevitabile il confronto fra Vivaldi (Venezia, 1678 – Vienna, 1741) e Piazzolla: il concerto rappresenta un autentico ponte musicale tra due secoli, un viaggio che, partendo dal capoluogo veneto e passando dal cuore dell’impero asburgico, conduce fino alla Baires del Novecento.
C’è chi ha scritto che Vivaldi fosse un grande musicista ‘pop’, sotto il profilo ritmico:
‘Anche quando è molto melodico, il Prete Rosso (come era chiamato per il colore fulvo della sua capigliatura) presenta un impulso ritmico costante, quasi un movimento di danza, che lo avvicina alla musica leggera. Accostando le due musiche lo si nota molto bene’, nonostante le differenze tra due musicisti opposti, di periodi diversi, rimangano enormi.
La parte argentina del concerto è un treno da cui non si vorrebbe mai scendere, attraverso un paesaggio pieno di colori che racconta la passione di un incontro, la tristezza della solitudine, il ricordo di una persona cara, un’esperienza deludente da cancellare, il fuoco vivo di un amore, la profonda oscurità della lontananza… sentimenti che tutti abbiamo vissuto o vivremo sicuramente (di questo sono certa).
Astor e Alessandro irrompono con ‘Chau París’ (saluto accorato e nostalgico alla grandeur della Ville Lumière) e continua con ‘Cité Tango’ (che dipinge i suoi anni negli Stati Uniti), ‘Río Sena’ (con le sue dame infide e maliziose che passeggiano lungo le rive del fiume), ‘Oblivion’ (in cui viene esposta magistralmente tutta la ricchezza espressiva del tango), ‘Adíos Nonino’ (dedicato al padre e composto alla notizia della sua scomparsa)…e poi ‘Jeanne y Paul’, ‘Fracanapa’, ‘Years of solitude’, ‘Muerte del Ángel’, fino ad una straordinaria interpretazione del celeberrimo ‘Libertango’, a confermare l’eccezionale vena esecutiva del solista, in gran forma dopo l’obbligata parentesi della pandemia (a malapena immagino quanto ne avrà sofferto!) che lasciano l’ascoltatore davvero ammaliato.
Picasso diceva che ‘L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni’ e George Bernard Shaw rifletteva che ‘Si usano gli specchi per guardarsi il viso e si usa l’arte per guardarsi l’anima’.
Non ce lo dimentichiamo: L’ARTE E’ VITA!
di Paola Cecchini
(13/08/20) Il Viaggio a Reims. Sempre un successo, senza se e senza ma
Nel 1829, dopo il ‘Guglielmo Tell’, Gioachino Rossini smise di comporre per il teatro. Aveva 37 anni. La sua fama rimase grande, tanto da garantirgli per il resto della vita una incontestata posizione nel mondo musicale europeo, anche quando le rappresentazioni delle sue opere diminuirono. Una gran parte della sua produzione artistica fu accantonata quando era ancora in vita e -dopo la sua morte- scomparve del tutto dal repertorio. In ogni caso, grazie ad alcune opere, soprattutto ‘Il Barbiere di Siviglia’, Gioachino rimase presente nei programmi ed alcune delle sue ouvertures, in particolare, godettero ininterrottamente di una grande popolarità.
Dovettero passare molti anni prima che l’interesse per le sue creazioni si risvegliasse. Questo iter, cominciato lentamente negli Anni Venti e che sembra rafforzarsi sempre più, è il risultato di un lungo processo di accettazione storica al quale hanno contribuito in egual misura la prassi musicale, le riflessioni estetiche e gli studi filologici : è una vera e propria ‘renaissance’ rossiniana quella portata avanti dalla Fondazione Rossini di Pesaro, che dal 1992 (anno del bicentenario della nascita del Maestro) è diventata ancora più intensa.
‘Il viaggio a Reims ossia L’Albergo del Giglio d’Oro’, è sicuramente una delle opere rossiniane più interessanti , secondo il mio punto di vista. Il luogo in cui si svolge l’azione è un albergo di lusso della stazione termale di Plombières -les-Bains (dipartimento dei Vosgi nella regione del Grand Est) dove soggiorna un’allegra compagnia di ricchi gaudenti, tipici rappresentanti delle grandi nazioni europee. Il giorno seguente deve svolgersi a Reims l’incoronazione del re borbonico Carlo X e tra il gruppo fervono i preparativi per assistere ai festeggiamenti ma non sarà possibile presenziarvi perché non ci sono abbastanza cavalli disponibili in città!
Così si decide, senza esitazione, di dar fondo alla cassa del denaro raccolto per il viaggio, di offrirne una parte per scopi benefici e di organizzare con il rimanente un banchetto per rendere omaggio, indirettamente, al nuovo re. La prima rappresentazione dell’opera ebbe luogo il 19 giugno 1825 al ‘Theatre Italien’ di Parigi, nell’ambito dei festeggiamenti indetti nelle città per celebrare l’incoronazione di Carlo X, conte di Artois, ultimo re di Francia (28 maggio 1825).
Il fatto che sia stata scritta per un’occasione particolare emerge da tanti dettagli, a partire dalla presenza di un organico che non si era mai visto prima: vi collaborarono tutte le ‘stelle’ disponibili a Parigi (18 ruoli di cui 10 prime parti) alle quali Rossini riservò meravigliose arie affinché potessero mostrare tutta la loro bravura.
In questa partitura il Compositore diede libero sfogo alla sua abilità: quello che compose è un compendio del teatro musicale del suo tempo, ‘un’opera nell’opera’, in questo senso paragonabile ad ‘Arianna a Nasso’ di Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal (rappresentata quest’anno al 46° Festival della Valle d’Itria) e scritta circa 100 anni più tardi: un esempio di ‘musica al di sopra della musica’.
Sia per quanto riguarda la tecnica compositiva che lo stile, il Musicista esplorò ogni possibilità: dal recitativo accompagnato al gran pezzo concertato di 14 voci (il più grande ensemble mai scritto in un’opera). E’ veramente impressionante la quantità di trovate musicali che vi si trovano.
Assieme alla serietà artistica ed all’autoironia, egli sperimentò tutte le possibilità del teatro musicale, grazie al libretto di Luigi Balocchi che contiene una gran quantità di situazioni comiche che varrebbe la pena di leggere almeno una volta con grande attenzione. Basti pensare al momento in cui l’inglese Lord Sidney – che dice di sé stesso di non conoscere alcuna canzone oltre a ‘God save the King’ – deve cantare una scena ed aria con flauto concertato, affidata di solito ad una primadonna!
La partitura è ricca di simili momenti umoristici, di cui fanno parte le descrizioni caratteristiche e caricaturali dei personaggi: la civetteria e l’ossessione per la moda parigina delle signore, la passione per il collezionismo di oggetti di seconda mano di Don Profondo, l’irrefrenabile entusiasmo musicale del barone tedesco di Trombonok e via dicendo. Anche i rapporti amorosi tra i singoli personaggi meriterebbero un capitolo a sé stante: timidi sguardi si alternano a violenti sfoghi sentimentali, malinconici turbamenti cedono il posto a melodie radiose, come nel duetto tra la Marchesa Melibea ed il Conte russo Libenskof.
Di fatto ogni numero è un pezzo di bravura: basta ascoltare attentamente l’Aria di Don Profondo in cui descrive i partecipanti al viaggio e traccia una gentile caricatura delle loro peculiarità nazionali sciorinando, nello stile di un chiacchierio, una quantità di parole complicate (difficili da pronunciare) per poi dare vita, nella seconda parte della sua cabaletta, a colorature ancora più audaci.
Dopo la prima, l’opera fu rappresentato ancora un paio di volte, poi Rossini ritirò la partitura. Molti numeri li adattò nel 1828 ne ‘Le Comte Ory’, la sua unica opera comica in francese e de ‘Il Viaggio’ non rimase che un vago ricordo. Per un secolo e mezzo se ne conobbe soltanto il titolo; nel 1936 comparve la presunta ouverture (un pezzo di grande effetto, amato sia dai direttori che dal pubblico) che risultò essere una contraffazione e cioè un arrangiamento ben fatto della musica per il balletto del ‘Siège de Corinthe’ (‘Il Viaggio’ inizia senza ouverture).
Solo negli Anni Settanta furono scoperti in diverse biblioteche (soprattutto presso il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma) frammenti dell’opera e così fu possibile ricostruirne la partitura originale che venne riproposta in prima mondiale dal Rossini Opera Festival nel 1984, nell’edizione critica della Fondazione Rossini/Ricordi, a cura di Janet Johnson, con la regia di Luca Ronconi, scene e costumi di Gae Aulenti e la direzione musicale di Claudio Abbado sul podio della ‘Chamber Orchestra of Europe’. All’interno del suo Festival Giovane, dal 2001 il Rof propone il Viaggio nell’interpretazione di giovani voci formatesi nell’ambito dell’Accademia Rossiniana ‘Alberto Zedda’. Quest’anno, visto il rinvio dei corsi al mese di ottobre a seguito della pandemia, lo spettacolo è stato interpretato da alcuni tra i migliori ex allievi degli ultimi anni ed ha avuto luogo mercoledì 12 e sabato 15 agosto in una sede del tutto inedita, nel teatro all’aperto allestito in piazza del Popolo.
Lo spettacolo è quello, collaudatissimo ed esportato anche al Teatro Real di Madrid e al Maggio Fiorentino, firmato da Emilio Sagi e ripreso da Elisabetta Courir, con i costumi di Pepa Ojanguren. Il M° Giancarlo Rizzi ha diretto l’Orchestra Sinfonica ‘G. Rossini’. Nel cast delle due serate figuravano Maria Laura Iacobellis (Corinna), Chiara Tirotta (Marchesa Melibea), Claudia Muschio (Contessa di Folleville), Claudia Urru (Madama Cortese), Matteo Roma (Cavalier Belfiore), Pietro Adaíni (Conte di Libenskof), Nicolò Donini (Lord Sidney), Diego Savini (Don Profondo), Michael Borth (Barone di Trombonok), Jan Antem (Don Alvaro), Alejandro Sánchez (Don Prudenzio), Antonio Garés (Don Luigino), Carmen Buendía (Delia), Valeria Girardello (Maddalena), Francesca Longari (Modestina), Oscar Oré (Zefirino/Gelsomino), Elcin Huseynov (Antonio).
Il ‘Viaggio’ è sempre un successo: senza se e senza ma.
di Paola Cecchini
(15/07/20) Si scaldano i motori per la 46° edizione del Festival della Valle d’Itria
Conoscete la Valle d’Itria? No? Bisogna rimediare subito! E’ un paesaggio fiabesco che si spalanca agli occhi di chi percorre la depressione carsica compresa tra le province di Bari, Brindisi e Taranto: nuclei isolati di boschi di quercia, uliveti centenari e vigne rigogliose, delimitati da muretti a secco e punteggiati dalle tipiche costruzioni a forma di cono, i trulli, la cui materia prima è la morbida pietra locale usata che emerge bianca ed abbondante dissodando una terra rossa e ‘grassa’, in totale contrasto cromatico.
Cuore della Valle d’Itria è Martina Franca dove nel 1975 un gruppo di uomini colti e intraprendenti tra cui Paolo Grassi (al tempo sovrintendente del Teatro alla Scala) decise di fondare uno dei festival più rinomati d’Italia, volto a valorizzare il repertorio operistico meno noto, se non completamente dimenticato: da allora sono state presentate al Festival oltre cento opere e la rassegna ha ottenuto per nove volte l’ambito riconoscimento del ‘Premio Abbiati’ dall’Associazione Nazionale critici Musicali.
Rinviate a causa dell’emergenza sanitaria alcune importanti produzioni (La rappresaglia di Mercadante, Gli amanti sposi di Wolf-Ferrari, Leonora di Paër e l’intermezzo di Piccinni Il perucchiere), il direttore artistico Alberto Triola ha coraggiosamente rimodulato il cartellone, garantendo comunque ‘eccellenza musicale e respiro internazionale fra sperimentazioni e rarità’, oltre a coinvolgere in un progetto di ampio respiro il teatro di prosa, nel solco identitario tracciato dallo stesso Grassi.
La 46a edizione del Festival ha segnato il ritorno di Richard Strauss. Due le opere rappresentatedopo la messa in scena della sua versione dell’Idomeneo di Mozart (2006), della versione francese della sua Salomè (2007) e della versione riorchestrata della Iphigenie auf Tauris di Gluck (2009).
Il borghese gentiluomo, la commedia di Molière ripensata come monologo, con le musiche di scena di Strauss (versione del 1912) ha aperto la rassegna il 14 luglio scorso nell’atrio del Palazzo Ducale: il giovane Michele Spotti (fra i più brillanti direttori della nuova generazione), sul podio dell’Orchestra del Teatro ‘Petruzzelli’ di Bari, ha illuminato una partitura dalla magnetica vivacità e frizzante ironia (repliche il 21, 25 luglio, 1° agosto).
L’allestimento in scena è stato curato dal regista pugliese Walter Pagliaro che ha firmato altresì Arianna a Nasso (19, 22, 26 luglio e 2 agosto), opera storicamente legata alla prima e come l’altra nata dalla collaborazione di Strauss con il poeta e drammaturgo Hugo von Hofmannsthal, il più famoso librettista dell’epoca.
Le due opere costituivano parti di un medesimo spettacolo, presentato per la prima volta nel 1912 al Königliches Hoftheater di Stoccarda con la compagnia di Max Reinhardt e la direzione dello stesso Compositore. Incentrata sul parvenu Monsieur Jourdain la commedia di Molière avrebbe dovuto concludersi con la rappresentazione di un’opera di una trentina di minuti, invece che con l’originale divertissement turchesco musicato da Jean-Baptiste Lully : una riproposizione della storia della principessa di Creta abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso, commentata ironicamente da attori della Commedia dell’Arte.
Arianna a Nasso conobbe successive stesure ma il Festival ne ripropone quella della première (il 19, 22, 26 luglio e 2 agosto). La versione in italiano del libretto, (originariamente scritto da Hugo von Hofmannsthal) è stata curata dal noto critico musicale Quirino Principe. Dirige la prestigiosa Orchestra barese Fabio Luisi, direttore musicale della manifestazione (attualmente direttore principale della ‘Danish National Symphony Orchestra’, della ‘Opernhaus Zürich’ e direttore musicale del Maggio Fiorentino).
Attorno al tema di Arianna, oscillando fra mondo barocco e recupero della cultura classica, si sono sviluppati una serie di altri appuntamenti musicali e approfondimenti culturali, tra cui i concerti nel Palazzo Ducale, nel chiostro ‘San Domenico’ e quelli nelle più belle masserie della zona.
Una rassegna preziosa in un luogo pieno di fascino!
di Paola Cecchini
(22/08/19) Un equivoco veramente stravagante
L’effetto giocoso si evidenzia fin dalla prima scena, quando i domestici Rosalia e Frontino sono colti a fare sesso spinto.Coinvolgente e divertente, condito di doppi sensi, questo dramma giocoso in due atti strappa risate per i testi arditi ed applausi per musicisti e cantanti.
I registi Moshe Leiser e Patrice Caurier (firmatari dal 1983 di oltre cento regie d’opera) hanno scelto una messa in scena ispirata alle caricature del famoso pittore, litografo e vignettista francese Honoré Daumier (Marsiglia, 1808 – Valmondois, 1879) che acuiscono ed accentuano le caratteristiche fisiche dei vari personaggi.
Come hanno spiegato alla stampa ed al pubblico accorso all’Incontro per l’ascolto dell’opera’ (11 agosto) ‘abbiamo voluto eliminare tutte le sovrapposizioni e le volgari licenziosità con cui spesso è stata rappresentata l’opera per far ridere, lasciando che parlasse solo la comicità scritta nella partitura e nel testo’.
Anche la scenografia, firmata da Christian Fenouillat (che collabora con il duo fin dall’inizio) è molto semplice: carta da parati con arabeschi color ghiaccio ovunque (anche sul soffitto), un letto con un copriletto dello stesso tessuto, tre sedie ed un enorme quadro con raffigurazioni bucoliche che da statico, diventa sempre più ‘animato’.
Sto parlando de ‘L’equivoco stravagante’ scritta da Gioachino Rossini e rappresentata il 13 agosto (repliche 16,19 e 22) al Rossini Opera Festival di Pesaro, la manifestazione che ha restituito al mondo la musica rossiniana ‘come era stata originariamente scritta’, dopo la revisione scientifica, musicologica e filologica operata sulla stessa dalla Fondazione che del Maestro porta il nome.
E’ un lavoro incentrato sulla recitazione, l’interpretazione vocale (impreziosita dal Coro del teatro ascolano ‘Ventidio Basso’ guidato da Giovanni Farina) ed orchestrale del M°Carlo Rizzi che ha magistralmente diretto (a memoria) la partitura eseguita dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
L’opera è piaciuta a tutti : convince l’intero cast capeggiato da Teresa Iervolino nei panni di Ernestina, Paolo Bordogna (perfetto nel ruolo di Gamberotto), Davide Luciano (Buralicchio), Pavel Kolgatin (Ermanno), Manuel Amati (Frontino) e Claudia Muschio (Rosalia).
L’opera è piaciuta a tutti, dicevo, ma ai giorni nostri!
Le cose andarono ben diversamente quando venne rappresentata la prima volta. Era stata scritta nel 1811 ed andò in scena il 26 ottobre dello stesso anno al Teatro del Corso di Bologna: si trattava dell’esordio del Musicista allora diciannovenne, nella città dove aveva studiato, si era formato e viveva con la sua famiglia quando non era in giro per teatri.
‘Volgare e insipida’ : questo fu il giudizio che la critica riservò al dramma musicato sul mediocre libretto di Gaetano Gasbarri. Il pubblico si divertì molto anche se l’accolse in modo controverso a seguito del numero eccessivo di equivoci e doppi sensi. Oltre a ciò, diverse scene furono considerate espliciti riferimenti sessuali, un particolare che allarmò molto la censura dello Stato Pontificio (di cui Bologna faceva parte) che impedì che si procedesse oltre.
Si arrivò alla terza rappresentazione per non umiliare il Compositore che si esibiva nella città dove vivevano i suoi genitori. A nulla valsero i tentativi in extremis per emendare i passi incriminati.
Perché dunque? Quale era il problema? Si parlava per la prima volta in un’opera di sessualità ‘ambigua’. Questa la storia:
In un antico castello, Gamberotto (di umilissime origini, diventato oltremodo ricco) desidera il meglio per l’unica figlia Ernestina di cui è molto orgoglioso.
Pensa quindi di farla sposare ad un giovane, Buralicchio, ricco come lui e nel frattempo cerca un precettore per la ragazza che si diletta di filosofia.
Dietro suggerimento di Frontino viene assunto Ermanno : il domestico apprezza il giovane e conosce l’umile condizione economica della sua famiglia di origine.
Ernestina si innamora del suo precettore ma occorre togliere di mezzo Buralicchio, il promesso sposo. Che fare? Frontino si mette all’azione anche stavolta e non trova di meglio che far credere a Buralicchio che…sta per sposare Ernesto, castrato e musico mancato.
Il giovane, sconvolto e inorridito, abbandona subito la casa della ragazza, poi, offeso per la situazione in cui si è trovato, denuncia la ragazza ad una legione che parte per la guerra: infatti ‘se Ernestina è un uomo, allora deve svolgere il servizio militare, altrimenti sarebbe un disertore!’
La giovane (ignara di tutto come gli altri protagonisti) viene arrestata da uno stuolo di soldati che entrano nel castello. Alla fine Ermanno riesce a farla evadere e pe fortuna l’equivoco si chiarisce …nel più semplice dei modi.
Buralicchio si rassegna a cercare un’altra moglie e …tutti tornano a vivere felici e contenti.
di Paola Cecchini
(09/08/19) Il Rossini Opera Festival raggiunge quest’anno la 40a edizione
Il Rossini Opera Festival taglia quest’anno il traguardo della 40a edizione. Nato nel 1980, ha via via riscoperto negli anni quasi l’intera produzione operistica di Gioachino Rossini, a lungo conosciuto solo quale autore di opere buffe. Manca al catalogo solamente ‘Eduardo e Cristina’, già programmato nell’edizione 2021. Grazie alla collaborazione con i musicologi della Fondazione Rossini, il ROF ha recuperato e riproposto al pubblico di tutto il mondo nell’edizione originale una trentina di capolavori, per lo più seri, che erano completamente usciti dal repertorio dei teatri d’opera.
La prossima edizione si terrà a Pesaro dall’11 al 23 agosto. Sono in calendario due nuove produzioni: ‘Semiramide’, diretta da Michele Mariotti e messa in scena da Graham Vick e ‘L’equivoco stravagante’, con Carlo Rizzi sul podio e regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier. In cartellone è prevista anche la ripresa del rarissimo ‘Demetrio e Polibio’, nell’allestimento di Davide Livermore, diretto da Paolo Arrivabeni’.
Ernesto Palacio
Così Enesto Palacio (Lima, 1946) sovrintendente e direttore artistico del Festival, nonché direttore dell’Accademia che del M° Alberto Zedda porta il nome, ha presentato alla stampa l’edizione che partirà tra pochi giorni.
‘Il ROF ha davanti a sé tre compiti principali: onorare tutto il repertorio di Rossini, in particolare quello meno rappresentato (quest’anno presentiamo Demetrio e Polibio e L’equivoco stravagante); proporre nuovi nomi di artisti mai ascoltati a Pesaro (quest’anno i debutti salgono a 9); dare spazio ai giovani talenti dell’Accademia Rossiniana ‘Alberto Zedda’ (nel cartellone di quest’anno figurano ben 12 gli ex-allievi). Vorrei porre particolare attenzione sul Gala ROF XL che sarà diviso in due parti: la prima dedicata al Rossini buffo e la seconda a quello serio-ha poi continuato.
Ha infine annunciato i titoli della stagione successiva, eccezionalmente tre nuove produzioni: Moïse et Pharaon (diretto da Giacomo Sagripanti e ideato da Pier Luigi Pizzi); Elisabetta, regina d’Inghilterra (diretta da Evelino Pidò al suo debutto a Pesaro e messa in scena da Davide Livermore); La cambiale di matrimonio (diretta da Dmitry Korchak ed allestita da Laurence Dale, entrambi al debutto pesarese).
(06/03/19) Una cambiale molto particolare
Due innamorati (Fanny e Edoardo) vorrebbero sposarsi ma Tobia Mill, ricco mercante ebreo, padre della ragazza, lo impedisce preferendo che la figlia sposi un suo corrispondente in affari, il canadese Slook. Grande é la sudditanza – psicologica e non – della giovane, privata di libertà decisionale anche nei suoi affetti più intimi, secondo il principio della patria potestà (sancito dal diritto romano ed abolito in Italia solo nel 1975) che dava al capofamiglia il potere economico e sociale su moglie e figli. L’argomento potrebbe costituire (come avvenuto in altre occasioni) il dramma di un’opera seria se non fosse messo in burla attraverso un’esagerazione buffonesca: Fanny viene promessa in sposa attraverso una cambiale (mezzo finanziario di pagamento usato nei più comuni scambi commerciali) e declassata ad una qualsiasi merce.
Slook è portavoce di una cultura diversa e denigrato proprio per la sua diversità. Poiché proviene da una delle tante colonie britanniche, è dipinto fin dalle prime scene come incivile, goffo, ignaro delle convenzioni e delle buone maniere che caratterizzavano al tempo la cultura europea. Sarà invece proprio lui a dare a tutti una lezione mettendo in crisi il diritto della patria potestà per valorizzare l’affetto sincero che lega i due giovani: girerà a favore di Edoardo, senza pretendere nulla in cambio, la cambiale di matrimonio che avrebbe dovuto garantirgli il ‘possesso’ della fanciulla e garantirà loro un futuro sereno.
Chi non la conosce? E’ la trama de ‘La cambiale di matrimonio’, farsa in un atto con cui Gioachino Rossini diede inizio alla sua brillante carriera di compositore presentandola il 3 novembre 1810 al Teatro San Moisè di Venezia. All’epoca diciottenne, il musicista (che aveva già composto l’opera ‘Demetrio e Polibio’ senza rappresentarla in scena) fu affiancato da Gaetano Rossi, un librettista veronese già ben rodato che in seguito scrisse per lui anche ‘Tancredi’ (1813) e ‘Semiramide’ (1823).
L’opera – prodotta dal Rossini Opera Festival (la cui sovrintendenza è curata dal peruviano Ernesto Palacio) con il Teatro Lirico di Cagliari (dove verrà proposta in 14 date dal 3 maggio) è stata rappresentata ieri 1° marzo al Teatro che del Cigno pesarese porta il nome, nel cartellone della settimana che celebra ogni anno il ‘non compleanno di Rossini’ (nato, com’è noto, il 29 febbraio 1792) in collaborazione con Amat-Platea delle Marche.
Sulla scena l’Orchestra del locale Conservatorio Statale di Musica (istituito con lascito testamentario del Maestro) diretta per l’occasione dal ventiquattrenne veronese Alessandro Bonato, unitamente ad una giovane compagnia di canto composta da Nicolò Donini (Tobia Mill), Claudia Muschio (Fanny), Anatolii Pogrebnyi (Edoardo Milfort) e Carles Pachón nei panni di Slook (ex-allievi dell’Accademia Rossiniana ‘Alberto Zedda), oltre a Sergei Morozov (Norton) e Mariangela Marini nei panni di Clarina (allievi del Conservatorio).
La regia è stata curata da Francesco Calcagnini e Davide Riboli, mentre l’ideazione, la progettazione, la scenografia, il progetto video ed i costumi (questi ultimi realizzati con l’ausilio di Paola Mariani) portano la firma della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino. Diciamo subito che il Musicista è di casa all’Accademia urbinate, avendo partecipato alla realizzazione di ‘Demetrio e Polibio’ (2010), ‘Il signor Bruschino’ (2012) ed ‘Il Barbiere di Siviglia’ (2014).
‘La nostra Scuola è un luogo speciale: assomiglia alla stanza dei giochi di un bambino che si diverte nel migliore dei modi possibili, ovvero pensando e costruendo da solo i propri giocattoli. Nella ‘Cambiale’ i momenti di invenzione si sono addirittura moltiplicati sotto i nostri occhi quasi da soli, perché l’idea di una promessa di matrimonio che utilizza una cambiale come garanzia, c’è apparsa fin dall’inizio talmente paradossale e fuori luogo da innescare immediatamente la cosa nell’immaginario. La farsa ci è sembrata fin da subito il correlativo oggettivo di un’epoca, passata bruscamente dai privilegi nobiliari alle transazioni commerciali di una nuova borghesia, rampante e feroce, la cui fame per i beni terreni e per il denaro si è cercato di restituire nei volteggi in aria del mappamondo di Mill. Ed è proprio ‘l’idea di quel metallo, portentoso, onnipossente’, che sembra muovere la rincorsa del desiderio e trasformare i personaggi in macchiette impegnate ad adorare gli oggetti feticcio, simboleggiati in questo caso dalle bellissime motociclette della Benelli’- ha spiegato Rossano Baronciani, docente di ‘Antropologia dell’arte’ e ‘Etica della comunicazione’ presso l’Istituto.
Lo spettacolo, semplice e gioioso, con una messinscena modernissima e di grande effetto, è stato capace di divertire e rallegrare il pubblico che ha tributato all’intero cast sinceri consensi e calorosi applausi.
Con ‘La cambiale’ è iniziata la programmazione del R.O.F. 2019 che quest’anno festeggerà 40 anni di attività. Il clou è previsto per il prossimo agosto (11-23) con un ricco cartellone che prevede due nuove produzioni (‘Semiramide’ e ‘L’equivoco stravagante’), la ripresa del rarissimo ‘Demetrio e Polibio’, ‘Il viaggio a Reims’ degli allievi dell’Accademia Rossiniana ‘Alberto Zedda’, un Gala celebrativo con alcuni tra i maggiori cantanti rossiniani, la cantata ‘La riconoscenza’, le ‘Soirées musicales’, due concerti lirico-sinfonici, due concerti di belcanto; una nuova puntata del ciclo ‘Rossinimania’.
Vi aspettiamo!